A un certo punto ho compreso che non vi è nulla di più vano e rischioso del vincolare il proprio equilibrio a una qualche forma di stabilità.
Non è stata una graduale presa di coscienza, badate bene, ma piuttosto una sorta di rivelazione: un giorno qualunque sei lì che osservi distrattamente l’armoniosa pigrizia di un pomeriggio estivo e di colpo realizzi che quel momento è unico e irripetibile. E meravigliosamente, spaventosamente fugace.
Persino nelle situazioni più consolidate circolano correnti instabili che costringono spesso a rivedere i propri convincimenti, e a deviare aspettative e progetti indirizzandoli verso direzioni talvolta ignote.
Occorre allora imparare a divenire portatori di flessibilità, per piegarsi senza spezzarsi e vestire la precarietà senza lasciarsene sopraffare, tenendo a mente che in natura sopravvivono le specie che, evolvendosi, sanno adeguarsi al mutare delle condizioni di vita.
Non sono ammesse superficialità né distrazione, poiché essendo tutto così effimero occorre affidare alla memoria il ricordo di taluni istanti: un discorso, un paesaggio, una sensazione, persino un sentimento.
Eppure esistono legami indissolubili, e ciò a prescindere dai vincoli di sangue, che sanno piantare radici talmente profonde da resistere al tempo, alle distanze e a qualsiasi nuova forma di precarietà, inamovibili in qualsiasi tempesta.
E io, avendo da sempre la consapevolezza di avere un cuore d’aquila che vorrebbe volare alto ma è intrappolato in un corpo da pollo, cerco di custodire questi affetti mai sazi di parole con il riguardo che meritano: senza il rifugio in quegli abbracci rischierei di essere travolta dai giorni che passano, troppo veloci.
Ti sto abbracciando.
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…ci contavo, Sister
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